I contenuti web rischiano ogni giorno di perdersi nell’immenso oceano di Internet. Così, mentre l’utente naviga, le comunicazioni troppo generiche e impersonali annegano tra le onde dell’online. Oggi la personalizzazione dei contenuti web è essenziale per conquistare interesse, fiducia e fedeltà, dando al cliente l’impressione che l’azienda lo “conosca” personalmente. E facendo e-commerce si può fornire un servizio che assomiglia a quello “sartoriale” dei negozietti di paese, in cui ti chiamano per nome e sanno dare buoni consigli.
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Secondo un sondaggio di eMarketer, già nel 2016 l’89% dei responsabili marketing statunitensi associava la personalizzazione del sito o dell’app aziendale a un incremento di vendite. Personalizzando le pagine web e le email di marketing con i “prodotti suggeriti” o con offerte mirate si ottiene più traffico, più interazioni, più conversioni e più fidelizzazione. Jeff Bezos aveva le idee molto chiare già nel 1998, quando in un’intervista al Washington Post disse: “Se abbiamo 4,5 milioni di clienti, non dovremmo avere un solo negozio. Dovremmo avere 4,5 milioni di negozi”. Possiamo ben dire che se oggi Amazon ha ben più di qualche milione di clienti, il merito è anche della personalizzazione.
Come imparare a conoscere i clienti
I tipici passaggi di una strategia di web personalization sono la raccolta dei dati, l’analisi, la segmentazione, il targeting, le azioni di personalizzazione e la misurazione dei risultati. Esistono però molti possibili approcci, e la prima fondamentale scelta riguarda il tipo di dati da raccogliere.
Le fonti più utili ai fini della personalizzazione del marketing sono i database dei CRM aziendali, che raccolgono e correlano informazioni di vario tipo: le anagrafiche dei clienti, ma anche la cronologia degli acquisti, lo scontrino medio e le preferenze o interessi indicati in fase di registrazione al servizio di e-commerce.
A questi dati “statici” si aggiungono i cookie, cioè le tracce che l’utente dissemina nel browser: sono una delle materie prime dei web analytics e permettono diversi tipi di personalizzazione. I cookie delle sessioni registrano l’attività di navigazione, cancellandosi poi a ogni chiusura del browser. Quelli permanenti rappresentano un po’ la “memoria” dei siti web: è grazie a loro, per esempio se ritroviamo il carrello di un e-commerce ancora riempito con gli articoli selezionati in una precedente visita, o se mentre compiliamo un form di registrazione il browser può completare i campi in automatico con nomi, indirizzi email, recapiti fisici e via dicendo. Altri cookie sono frutto del tracciamento eseguito da “terze parti”, da banner o altri contenuti pubblicitari su cui l’utente interagisce, oppure dai “like” e dalle condivisioni fatte sui social network o con i social plugin presenti sui siti web.
Dal punto di vista della “sostanza”, e non della forma, quali dati devono interessare? Dipende, ovviamente, dal tipo di attività, dal raggio geografico, dal prodotto o servizio venduto. Ai fini della segmentazione e della targetizzazione, possono contare la nazionalità o residenza dell’utente (per offerte o comunicazioni localizzate), l’età e la data di nascita (per promozioni di “compleanno” e profilazione anagrafica), le abitudini di acquisto (che lo classificano come basso/medio/alto spendente e che possono dare indicazioni sui “valori” di quel consumatore e sulla sua psicologia), le attività social (utile per marketing mirato su Facebook, Instagram o altre piattaforme) e altro ancora.
Come creare contenuti web personalizzati
Esistono diverse possibilità di segmentazione e personalizzazione, basate sull’identità, sui comportamenti e/o sugli interessi. Una delle più semplici è la segmentazione dell’audience in base a regole predefinite: si può decidere, per esempio, di distinguere i visitatori abituali dagli utenti che approdano al sito dopo una ricerca su Google, oppure di dividere il pubblico in categorie a seconda dei “like” fatti sugli articoli di un blog, o ancora di usare criteri anagrafici e geografici.
Un altro tipo di segmentazione, più raffinata, è quella compiuta dagli algoritmi di machine learning. Su grandi volumi di dati (sia “caldi” sia “freddi”) i software di apprendimento automatico possono individuare delle correlazioni e calcolare, per esempio, il grado di propensione all’acquisto di una persona. Su questa base, poi, l’algoritmo propone delle “raccomandazioni”: tipicamente, si mostrano in coda all’articolo selezionato altri “prodotti simili”, abbinati a frasi che stimolano la curiosità ( “ti potrebbe piacere anche…”, “gli altri clienti hanno visto anche…”). In questo modo si può stimolare sia l’upselling sia il cross selling, come farebbe non un semplice commesso di un negozio ma un commesso abile e ben informato su chi ha davanti.
Un altro tipo di personalizzazione riguarda il layout e la visualizzazione dei contenuti web. Una volta fatto il login, l’utente non è più un visitatore anonimo bensì una persona dotata di identità e preferenze già espresse. La home page “standard”, dunque, a login eseguito si trasforma mostrando preferiti e wishlist, mettendo alcune sezioni in evidenza e nascondendone altre.
Oltre ai contenuti web, è anche possibile personalizzare le comunicazioni di email marketing chiamando per nome il destinatario e selezionando contenuti e offerte da mostrare in base alla segmentazione e alle ultime attività online dell’utente (per esempio visualizzazioni di prodotti e carrelli abbandonati nel sito di e-commerce). Nell’ottica di un customer journey coerente e completo, è consigliabile personalizzare tutti i canali di contatto: il sito web e l’email, come abbiamo visto, ma anche applicazioni per smartphone, messaggi SMS e chat, pubblicità sui social. Si realizza così una personalizzazione cross-channel. L’ultimo, importante passaggio è la misurazione dei risultati: serve a capire se un’azione di personalizzazione sia efficace oppure no, ed eventualmente a correggere il tiro.
La user experience ha bisogno di contenuti web personalizzati
Le offerte “urlate” con pubblicità invasiva e i titoli clickbaiting possono, forse, generare qualche risultato nell’immediato. Tuttavia non rappresentano una strategia lungimirante, non costruiscono nulla e non creano legami duraturi. Al contrario, personalizzando si ottiene un’attenzione motivata da reali interessi e giorno dopo giorno si consolida il rapporto fra l’azienda (o il brand) e il suo pubblico.
Si parla tanto negli ultimi anni di “customer journey”, cioè del “viaggio del cliente” tra punti di interazione online e offline, tra negozi fisici, e-commerce, call center, chat di supporto, social network. Ebbene, la personalizzazione fa parte di quel customer journey ottimizzato a cui oggi il marketing deve puntare. C’è però molto altro da considerare per far sì che l’esperienza del cliente sia positiva, fluida ed emotivamente coinvolgente: nel nostro eBook, scaricabile gratuitamente, ti spieghiamo come progettare una User Experience efficace.